Volevo partire in quarta spiegandovi per filo e per segno
cosa ha portato Enrichetto a dover indossare un cono di plastica (nel quale ha
già vomitato due volte e che continua a leccare credendo che la sua lingua
possa comunque raggiungere il suo pelo, per inciso.), ma poi mi sono resa conto
di non avervi spiegato l’origine del suo nome. Imperdonabile, considerando che non
è cosa di poco conto.
Ebbene: Enrichetto deve il suo nome ad Enrico Toti. Che no,
non è un calciatore.
Se avete mai visitato il Museo della Scienza e della Tecnica
di Milano, potreste aver visto un sommergibile a lui dedicato. In soldoni: Enrico
Toti fu un eroe della prima guerra mondiale. Allo scoppio della guerra, Toti
presentò tre domande di arruolamento, che gli furono respinte. Praticamente era
Steve Rogers. Insomma, com’è come non è, dopo parecchie vicissitudini riuscì a
sgabolarla, e ad entrare nel corpo dei bersaglieri.
Ma perché, direte voi, rifiutare la domanda di arruolamento?
Semplice: ad Enrico mancava una gamba, amputata all’altezza del bacino dopo un
incidente sul lavoro.
Durante la battaglia dell’Isonzo Toti, che sino ad allora
era stato utilizzato come corriere in bicicletta, si ritrovò in mezzo al campo
di battaglia. Si racconta che, finite le munizioni, scagliò contro gli
austriaci la sua gruccia, urlando “Io non moro!”
Ecco. “Io non moro” deve essere quello che ha detto il nostro Enrichetto, steso sull’asfalto di
una strada sarda con una zampa ormai inutilizzabile.
Quello, e poi l’evidente ironia del chiamare Enrichetto un
gatto senza una “gamba”. (Non guardate me, è stato mio marito. Io lo volevo
chiamare Rallo.)
Miao!
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