giovedì 12 novembre 2015

Di nomi ed eroi




Volevo partire in quarta spiegandovi per filo e per segno cosa ha portato Enrichetto a dover indossare un cono di plastica (nel quale ha già vomitato due volte e che continua a leccare credendo che la sua lingua possa comunque raggiungere il suo pelo, per inciso.), ma poi mi sono resa conto di non avervi spiegato l’origine del suo nome. Imperdonabile, considerando che non è cosa di poco conto.




Ebbene: Enrichetto deve il suo nome ad Enrico Toti. Che no, non è un calciatore.
Se avete mai visitato il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, potreste aver visto un sommergibile a lui dedicato. In soldoni: Enrico Toti fu un eroe della prima guerra mondiale. Allo scoppio della guerra, Toti presentò tre domande di arruolamento, che gli furono respinte. Praticamente era Steve Rogers. Insomma, com’è come non è, dopo parecchie vicissitudini riuscì a sgabolarla, e ad entrare nel corpo dei bersaglieri.
Ma perché, direte voi, rifiutare la domanda di arruolamento? Semplice: ad Enrico mancava una gamba, amputata all’altezza del bacino dopo un incidente sul lavoro.
Durante la battaglia dell’Isonzo Toti, che sino ad allora era stato utilizzato come corriere in bicicletta, si ritrovò in mezzo al campo di battaglia. Si racconta che, finite le munizioni, scagliò contro gli austriaci la sua gruccia, urlando “Io non moro!”
Ecco. “Io non moro” deve essere quello che ha detto il nostro Enrichetto, steso sull’asfalto di una strada sarda con una zampa ormai inutilizzabile.

Quello, e poi l’evidente ironia del chiamare Enrichetto un gatto senza una “gamba”. (Non guardate me, è stato mio marito. Io lo volevo chiamare Rallo.)
Miao!


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